giovedì 4 aprile 2013

Ospitalità curda.



1 Aprile. Dopo essere stato svegliato nel mezzo della notte da due contadini che volevano sapere cosa stessi facendo, crollo di nuovo e dormo fino alle nove, incurante del sole già alto nel cielo.
Sulla strada per Diyarbakir do un passaggio ad un ragazzo diciottenne che, come buona parte della popolazione, parla solo turco. Mi lascio guidare verso la sua scuola dove, a quanto avevo capito, voleva cercare un insegnante d’inglese per comunicare con me. Mobilita l’intero corpo docente, andando da un piano all’altro e, dopo una buona mezzora, quattro tazze di tè ed infinite strette di mano, mi passano una ragazza al telefono che finalmente parla inglese. È la figlia di un insegnante di letteratura che si propone di portarmi in giro per la città. Accetto ben volentieri e, salutati tutti i presenti, mi avvio con il ragazzo verso il luogo dell’appuntamento. Una volta lasciatomi nelle mani di questa ragazza e delle sue amiche, il ragazzo ci saluta e scompare tra la folla. Passo l’intera giornata sorseggiando tazzine di tè sulle mura, nei mercati, nei baretti a bordo strada e facendo lunghe chiacchierate sull’attuale situazione curda.

Qui la polizia è sempre in tenuta antisommossa e gira con mezzi corazzati che sembrano più carri armati che automobili.  Nonostante Abdullah Öcalan, leader dei curdi, abbia dichiarato la cessazione delle ostilità da parte dei suoi uomini, aerei ed elicotteri militari sorvolano la città in continuazione e si dirigono verso le montagne per bombardare i nascondigli di questi militanti del PKK. La situazione è molto tesa. L’intera popolazione nutre un odio profondo per i poliziotti turchi che vengono da tutti considerati alla stregua di invasori. Dizionari, stampa locale ed ogni forma di curdo scritto sono considerati illegali.

La sera le ragazze mi hanno portato ad una manifestazione per la liberazione del loro leader, dove erano presenti tutte le madri dei giovani fatti scomparire dalla polizia negli ultimi anni.
Per la notte, mi hanno trovato posto da una giovane coppia appena conosciuta nella libreria dove ci eravamo dati appuntamento la mattina.
Buonissima cena a base di vino rosso di Mardin e zuppa di testa di manzo. Sul bancone del locale c’erano quattro vassoi pieni di carne lessata con un aspetto poco rassicurante. Cervello, lingua, guance ed occhi. Una cucchiaiata da ognuno, un mestolone di brodo e via in tavola accompagnato da insalata, sottaceti ed una cipolla cruda.


L'ennesimo tè della giornata. Questa volta in cima alle mura di Diyarbakir.

Colazione con olive piccanti, frittata, formaggi e verdure.


2 Aprile. Mattina ancora a spasso per la città con i miei nuovi amici. Pomeriggio 500km in auto con destinazione Trabzon. Notte in cima ad un passo ad un’ora dalla città, pronto per scendere presto la mattina seguente e recarmi al consolato Iraniano per il visto.

3 Aprile. Sono davanti al consolato all’orario d’apertura. Entro e mi siedo accanto alla scrivania della segretaria che continua tranquillamente una telefonata personale per una buona mezz’ora.
Alla fine attacca la cornetta e si gira verso di me. Ha un’occhio azzurro ed uno marrone.
Mi fa compilare un paio di moduli, sfoglia il passaporto, mi dà le indicazioni per la banca dove andare a pagare il bollettino e mi dice di passare alle quattro del pomeriggio a ritirare i documenti (ad Ankara, per farsi rilasciare il visto servono da una a due settimane).
La sera sono ospite da un ragazzo che abita in un paesino sulla costa del Mar Nero e sta studiando per diventare capitano. In casa ci sono anche altri due ospiti: uno spagnolo ed una russa che stanno andando verso l’Italia in autostop. Purtroppo vado nella direzione opposta.



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